Fin dai tempi più antichi i popoli pagani hanno prestato grande attenzione e interesse per il ciclo stagionale dell’anno, che si alternava e ripeteva continuamente in un eterno ciclo di Vita, Morte e Rinascita. Questo perché la loro vita dipendeva essenzialmente da essi e conoscerli permetteva loro di conviverci, di sfruttarne le qualità ma, soprattutto, di riuscire a coltivare la terra per nutrirsi, rispettando i tempi adatti per la semina, la crescita, il raccolto e il riposo.
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Ci sono diversi miti e leggende che riguardano questi cicli legati a solstizi ed equinozi, tutti simili per un aspetto: i due archetipi opposti (Vita e Morte, Luce ed Ombra, Estate e Inverno) che combattono una lotta eterna. Albero simbolo del Solstizio d’Inverno, l’agrifoglio è anche legato alla parte calante dell’anno, quella che dal momento di maggior splendore del Sole porta al momento più buio e freddo. Esso rappresenta il Vecchio dell’anno passato, il Re Agrifoglio dalla lunga barba bianca e dal sorriso radioso che a seconda delle tradizioni assume nomi diversi. (Notare che anche Babbo Natale porta un rametto di agrifoglio sul berretto).Le prime tracce del Re Agrifoglio risalgono al XII Secolo, dove lo troviamo come “l’Uomo Verde”. In molte località dell’Europa è ancora usanza accendere falò di querce per celebrare il ‘passaggio’ di metà inverno (21 dicembre). In alcune tradizioni, la quercia è il re della metà crescente dell’anno (durante la quale il giorno si allunga), e l’agrifoglio è il re dell’altra metà. Una credenza di origine sconosciuta ancora molto diffusa nelle campagne delle isole britanniche vede nell’agrifoglio la personificazione delle forze maschili della natura e nell’edera quella delle forze femminili. Tagliando le siepi, molta gente, soprattutto nel Galles, fa attenzione a non danneggiare gli alberi di agrifoglio.
Una ballata medievale dell’Inghilterra, dove l’ agrifoglio è ancora il sempreverde più utilizzato a Natale, dice: “Chi parla male dell’agrifoglio”, in un baleno verrà impiccato. Alleluia!” Nella tradizione pre-cristiana, l’agrifoglio non viene citato spesso, se si eccettuano quei documenti che contengono le formule magiche dei dottori sciamani-erboristi anglosassoni. Un manoscritto, ad esempio, riporta un rimedio per lo stomaco che veniva preparato bollendo frammenti di foglie nel latte fino a farli diventare teneri. Tre frammenti andavano mangiati di mattina e tre di sera dopo i pasti (il numero tre ricorre spesso, in quanto numero sacro per il Piccolo Popolo).
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A rappresentare le forze opposte che si combattono nel ciclo stagionale sopravviventi ancora oggi, troviamo il Re Quercia e il Re Agrifoglio. Questi Re si sfidavano due volte l’anno, per ogni anno, e uno dei due veniva alternativamente sconfitto dall’altro, che otteneva così la vittoria e la supremazia sulla Terra fino alla sfida successiva.
Questi scontri avvenivano nei due momenti del ciclo annuale in cui il Sole era al suo massimo e al suo minimo splendore, ovvero durante i solstizi, simboli della massima potenza di una forza sull’altra, ma allo stesso tempo dell’inizio del suo decadimento.
Il Re Quercia rappresenta quindi la forza positiva e l’azione e, sconfiggendo il Re Agrifoglio al solstizio d’inverno, assicura la rinascita della luce fino al solstizio d’estate, il suo massimo splendore; il Re Agrifoglio, invece, rappresenta la forza negativa e la passività e, sconfiggendo il Re Quercia al solstizio d’estate, assicura il ritorno dell’oscurità, la morte apparente della Natura e il suo riposo, fino al solstizio d’inverno.
Entrambe queste figure sono indispensabili e necessarie e non potrebbe mai esservi la vittoria definitiva di un Re sull’altro perché questo comporterebbe senz’altro la distruzione del mondo. Ciò che invece è importante è l’equilibrio perfetto tra le parti.
Essi sono luce e buio, gemelli e parte l’uno dell’altro, ma in eterna lotta. Ed è proprio questa lotta tra i due opposti, questa tensione che si crea tra le due parti, che produce il cambiamento, la trasformazione e la generazione di nuova vita da parte della Madre Terra.
In questa, come in molte altre interpretazioni mitologiche del ciclo della fertilità, si trovano costantemente i sacrifici di figure di re o di divinità maschili che, tra l’altro, nei tempi più antichi, venivano applicate nel vero senso della parola quando un uomo, che spesso era veramente un re o un esponente della tribù, si faceva immolare in nome di un Dio, diventando in questo modo il Dio stesso. Raramente, però, si trovano sacrifici da parte di una qualche divinità femminile. La Dea, infatti, è eterna e senza tempo, e veglia sui combattimenti delle due forze semplicemente mutando il suo aspetto in base a chi conquista la momentanea vittoria.
Questo triangolo divino, tra due forze che si contendono il regno e il favore della Dea, e la Dea stessa, viene spiegato chiaramente nei miti della cultura celtica.
Per la concezione celtica il Tempo, inteso come il succedersi lineare di giorni, anni e millenni, sarebbe dominato dal principio del Dio, che interpreta il ciclo stesso di Vita, Morte e Rinascita venendo alla luce dal grembo della Dea, vivendo al suo fianco e morendo tra le sue braccia, per poi rinascere di nuovo dal suo grembo; ciò che sta al di là del Tempo, e che quindi è eterno, invece, sarebbe dominato dalla Dea, che presiede ai cicli e non muore mai -non per altro l’Altromondo, il luogo oltre le nebbie che si raggiunge dopo la morte e in attesa della rinascita, è la dimora della Dea. La divisione del ciclo annuale in due parti, ovvero quella attiva e quella passiva, sono rappresentate da due volti del Dio stesso, Cernunnos e Maponos, ai quali la Dea dona alternativamente le sue attenzioni. Il primo rappresenta il Dio dell’Inverno, più maturo e silenzioso, ma di grande saggezza; il secondo il Dio dell’Estate, più giovane e affascinante, brillante e forse più impulsivo, ma di grande passione.
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In ogni ciclo Maponos conquista l’amore della Dea, con cui si unisce nella festa di Beltane, e poi, a Samhain, muore, portando con sé il calore e la luce. Da quel momento in poi la Dea torna dal suo primo amante Cernunnos e, al suo fianco, nell’apparente morte dell’anno, Ella rinnova la Terra. Dal suo ventre però Maponos rinasce in inverno e dà inizio ad un nuovo ciclo.
La Dea è quindi la Regina, la Sovranità che accorda il suo favore ad uno o all’altro Dio, permettendo così che si crei il movimento e l’equilibrio adatto perché la vita possa esistere.
La differenza che si può notare tra le prime due figure di archetipi divini, il Re Agrifoglio e il Re Quercia, e le altre due, Cernunnos e Maponos, ovvero il Re dell’Inverno e il Re dell’Estate, è il momento in cui questi re conquistano il favore della Dea e il regno sulla terra. I primi due infatti si combattono durante i solstizi e portano la loro influenza, negativa o positiva, in modo graduale, iniziando proprio nel momento in cui il loro opposto è al pieno della sua potenza, mentre gli altri due si presentano attivamente quando il mondo materiale e quello spirituale sono più vicini e i risvolti delle stagioni sulla terra sono già visibili, a Samhain e a Beltane.
Questa differenza è tuttavia un punto abbastanza trascurabile e secondario, mentre l’importanza principale va data alle forze opposte, quale che sia il nome che si voglia dar loro, e a ciò che crea il conflitto fra esse e il passaggio dall’una all’altra, interazioni peraltro appartenenti non solo alla terra e ai suoi cicli di fertilità ma anche a noi stessi. Noi, infatti, cercando l’armonia con le piccole e grandi forze del mondo esteriore scopriamo che il nostro mondo interiore non è poi così diverso e che ogni sua parte va apprezzata sempre. Solo così facendo si scoprirà che trovare l’armonia con i cicli della terra può anche avvicinare alla conoscenza e all’armonia dei nostri cicli interiori. Un gran passo per il nostro benessere sia fisico che spirituale.
Fonte : http://xsacerdotessediavalonx.jimdo.com/sabba/yule/
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