Che cosa significa la bellezza collaterale? Solitamente “collaterale” è un aggettivo associato agli effetti indesiderati dei farmaci, alle garanzie bancarie, oppure, alle vittime di guerra considerate danni o perdite sacrificabili.
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Nonostante queste consuete associazioni, meno note, collaterale è: un rapporto genealogico che unisce due persone per discendenza da uno stesso capostipite: è quello che sta a lato, che fiancheggia, che è connesso, anche accidentalmente, con un nucleo centrale, con un’attività principale.
E nel caso della bellezza collaterale?
Il vecchio paradigma tramanda troppo spesso il negativo come qualcosa di negabile e deprimente. La nuova visione spirituale della vita, lontana dalla superficie caotica, è ricettiva e non passiva dinanzi ad un vissuto negativo, avverso e doloroso. Questo non significa diventare “positivisti”, parte di quel movimento New Age che favorisce l’approccio di “positive thinking”, i pensieri positivi che cercano a tutti costi di ottenere una visione di fasulla accettazione.
Il falso positivo occulta l’attaccamento al dolore che nutre la sofferenza nel profondo. Il negativo poi risuona, vibra con il negativo, e lo attira. Represso e negato, la sofferenza poi si trasforma in una lotta tra due polarità identiche che poi si respingono; e per proteggersi da questo caos interiore, siamo costretti a sbarrare l’intimo, perdendo un’opportunità preziosa di trasformare il metallo vile della sofferenza in oro puro.
Tuttavia, quando la bellezza collaterale sta a lato, connessa, anche accidentalmente, con un nucleo centrale, con un’attività principale, fiancheggiando qualsiasi situazione o evento doloroso, scomodo o difficile, gli eventi o situazioni negative non scompaiano, ma si apre una porta all’equilibrio interiore, una grazia che fa nascere qualcosa di nuovo e prezioso, espandendo la coscienza e amplificando i sensi; toccando il cuore a tal punto da farci, paradossalmente, sorridere mentre scorrono le lacrime calde e silenti che purificano piuttosto che cadere nei silenzi di tomba o nelle gride viscerali che nutrono la disperazione.
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Aprirsi alla bellezza collaterale significa accogliere il vissuto senza analizzare l’esperienza. Da questo spazio assente di giudizio, sentiamo che qualcosa di misterioso, intangibile e accidentale ci ha toccato. Chi cerca, forza o attende il suo arrivo, non lo riconoscerà. Chi giudica, lotta o reagisce contro il dolore, non sentirà il battito sottile delle sue ali. Solo chi rimane ricettivo è in grado di aprirsi alle connessioni inspiegabili che appaiono dopo un evento sconvolgente: come segni intimi e personali che solo noi siamo in grado di interpretare e comprendere, messaggi che portano conforto come un balsamo fresco e rigenerativa che da sollievo alle ferite profonde e dolorose, apparentemente rimarginabili.
La bellezza collaterale non è qualcosa che si può capire o analizzare, bisogna aprirsi, lasciarsi andare, sentirla e viverla…
Accoglierla nelle nostre vite non è un gesto scontato. Come chi ha un cuore impavido perché conosce intimamente la paura, questa qualità nasce in chi ha incontrato il dolore nella sua forma più pura senza i lamenti dell’ego, quella parte dell’umanità dualistica e moralistica che lotta, togliendoci l’opportunità di riconoscere la grazia nell accettare: la perdita dei nostri sogni e desideri, perfino la morte stessa, perché la bellezza collaterale ci insegna come inchinarsi con umiltà davanti alla vita, abbandonandosi a qualcosa di più grande di noi stessi.
Caroline Mary Moore
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