La nostra quotidianità è fatta di tempi veloci, scadenze, problemi e impegni che si devono incastrare l’uno con l’altro. Presi in questo vortice di calcoli temporali che ci fa sentire come dei veri schiavi del tempo, difficilmente troviamo tempo per noi stessi e, quando a volte lo troviamo, utilizziamo spesso questo tempo prezioso per pianificare come far andare meglio le cose.

Non solo. Spesso basta davvero poco per far saltare tutti i nostri piani: un ingorgo che ci obbliga a cambiare il percorso che facciamo tutti i giorni per tornare a casa, il nostro cellulare che si scarica, persino la visita non annunciata di un amico o di un parente ci mette nei guai. Insomma, anche il più banale imprevisto ci coglie di sorpresa disorientando le nostre abitudini. Come un castello di carte, i progetti che con tanto impegno, ma anche con tanta ingenuità, avevamo pianificato, possono cadere al soffio del più leggero contrattempo.

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In questo modo di affrontare le cose, ogni imprevisto è valutato da noi come “problema”. Esso è problema poiché ci mostra, semplicemente, ma in maniera evidente, quanto piccolo sia il nostro mondo e quanto fragili siano i nostri orizzonti e i nostri equilibri. Questa evidenza provoca in noi smarrimento, senso di impotenza, frustrazione. E ogni qualvolta vedo o sento persone che si affannano rincorrendo gli impegni che il quotidiano richiede loro, mi viene sempre in mente una massima di Marco Aurelio, imperatore romano ricordato anche come grande filosofo stoico:

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“Le cose per le quali ti turbi cercando di ottenerle o di evitarle non muovono verso di te,
ma in un certo qual modo sei tu che vai incontro ad esse: giudicale dunque con calma,
ed esse rimarranno tranquille e non ti si vedrà più n
é cercare di ottenerle, né cercare di evitarle.”
(Marco Aurelio – “Scritti”)

In questo passo di Marco Aurelio c’è come un’inversione di prospettiva. Ciò che si cerca di ottenere o di evitare non è qualcosa che ci capita, ma è come se fossimo noi stessi ad andargli incontro, a sbatterci contro. Questo significa che, principalmente, è il nostro atteggiamento nei confronti delle cose del mondo che fa essere queste ultime obiettivi da raggiungere o ostacoli da superare nella nostra folle corsa. Per evitare che le nostre energie siano assorbite da tali cose, secondo Marco Aurelio c’è bisogno di distaccarsi da esse assumendo un punto di vista esterno dal quale valutare il vero valore delle cose stesse.

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Abbracciando mentalmente varie culture, si trova che tale atteggiamento di distacco è proposto e valorizzato da pensatori e maestri di ogni tempo e di ogni latitudine.

“Puoi evolvere in consapevolezza solo se continui a lavorare sulla tua anima testimoniante;
se diventi sempre più un testimone distaccato e presente di tutto ciò che fai,
di tutto ciò che pensi, di tutto ciò che senti.”
(Osho – “Una risata vi risveglierà”)

Come dice Osho, assumere la prospettiva della propria anima testimoniante significa farsi osservatori esterni e distaccati del mondo. Il fine di Osho è lo stesso di quello di Marco Aurelio: distaccarsi dal mondo per ottenere maggiore consapevolezza di sé e, quindi, maggiore controllo sugli accidenti che il mondo può metterci davanti, evitando così di divenire vittime dei problemi quotidiani. Ciò che può apparirci come un intoppo problematico, può risultare di ben poco conto se siamo capaci di diventare osservatori distaccati della nostra esistenza nel mondo.

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Questo essere testimoni-osservatori di noi stessi denota una caratteristica essenziale dell’essere umano in generale. Tutti noi in quanto esseri umani abbiamo la possibilità di divenire-presenti a noi stessi. Da quanto ne sappiamo, infatti, solo l’essere umano è capace di essere presente a se stesso. Gli animali questo non possono farlo. Anche ammettendo che gli animali possano avere un qualche senso interno di sé, essi tuttavia non possono essere presenti a loro stessi, cioè estraniarsi dal flusso della loro vita per osservarla e osservarsi “dall’esterno”.

Il distacco dal flusso dell’esistenza è il corollario più importante di questa capacità prettamente umana di essere presenti a noi stessi. Ed è grazie a tale distacco che ciò che ci appare problematico può cambiare di natura, divenendo superfluo ed irrisorio.

A questo proposito voglio citarvi un famoso Koan Zen, una specie di indovinello intriso di saggezza orientale apparentemente assurdo, ma che i Maestri propongono ai loro discepoli per superare gli schemi di pensiero e per inoltrarli nel sentiero che conduce alla consapevolezza di se stessi.

Il Koan in questione è quello dell’“oca nella bottiglia”, che provo a raccontare a parole mie:

Un’oca depone un uovo in una bottiglia. L’uovo si schiude e nasce un pulcino che, ben presto, diventa un’oca anch’essa. Dopo aver proposto questa storiella ai suoi discepoli, Il Maestro chiede loro: «Come fa la seconda oca ad uscire dalla bottiglia senza però romperla?» I discepoli meditano per anni su questo indovinello, utilizzando tutto il loro ingegno e tutta la loro immaginazione, senza però trovare la soluzione, finché il Maestro non svela loro la risposta: «L’oca è già fuori!»

La risposta del Maestro può apparire insensata a noi occidentali, che siamo abituati a utilizzare la ragione come strumento principale con il quale interpretare il mondo. Seguendo il nostro modo di dare senso al mondo, la risposta del Maestro risulta assurda. Essa non rispetta infatti le condizioni date all’inizio dell’esperimento mentale, trova cioè una soluzione rinnegando ciò che erano le basi del problema posto. Ed è proprio questo il senso profondo del Koan Zen: finché continueremo a restare all’interno del campo del problematico non riusciremo a trovarvi soluzioni.

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Solo trascendendo le regole che la situazione ci impone, e acquisendo un punto di vista esterno e distaccato dalla questione posta, noi riusciremo a vedere che il problema non solo è risolvibile, ma anche che, in definitiva, non esiste. In un certo senso, l’oca nella bottiglia che cerca di uscire siamo noi stessi, intrappolati come siamo nelle problematiche quotidiane. Ma, in quanto esseri umani, a ogni istante della nostra esistenza possiamo divenire presenti a noi stessi, per diventare osservatori del nostro flusso esistenziale e, quindi, distaccarci da esso; fuoriuscirvi.

Mi piace immaginare i problemi quotidiani come fossero delle mongolfiere, che viste da vicino sono giganti, ingombranti, hai quasi paura che possano schiacciarti ma poi, una volta lasciate andare via volano leggere come farfalle variopinte, per diventare sempre più piccole all’orizzonte, fino a scomparire nel loro silenzio.

L’insegnamento che il modo d’essere del distacco ci propone può essere particolarmente utile quando dobbiamo affrontare problematiche legate al quotidiano abituale. Assumere nei confronti di esse un punto di vista esterno, distaccato appunto, può aiutarci a considerare tali problematiche in maniera più lucida, meno coinvolta. Perché quando sei separato, assolutamente separato, divieni solo un testimone e nient’altro nei confronti del problema.
Respira, fai un passo indietro, crea distanza, prendi tempo, fatti da parte e non verrai schiacciato.

Tragicomico

Fonte :https://www.tragicomico.it/problemi-quotidiani-distaccarsi-koan-zen-oca-bottiglia/

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