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Se si chiede alla gente, qual è il mestiere più difficile del mondo, molti risponderanno “fare il genitore”. Il motivo di questa affermazione, solitamente, è a causa dei figli che apparentemente, non hanno letto i numerosi libri dedicati a loro, mentre tutti i genitori si!
Il sogno, poi di vedere il figlio che segue le nostre orme, oppure raggiungere quello che, per noi è stato irraggiungibile, rischia di progressivamente svanire, mostrandosi sempre più improbabile, per non dire impossibile; e dal quel momento, anche se cerchiamo di non mostrarlo mai, si rischia di aggiungere un nuovo sapore al ruolo genitoriale – quello amaro.
Devo ammettere di essere colpevole di aver letto molti libri sull’infanzia, ed espresso le varie ‘citazioni’ accompagnate dal profondo sospiro quasi di rinuncia, dicendo: “I figli non arrivano con il libretto d’istruzione”, oppure “Qualunque cosa fai, alla fine è sempre sbagliata!” Sono stata colpevole anche di desiderare che fossero già grandi, e sognare di un futuro quando avrei potuto riavere la mia identità, invece di essere considerata una mera accompagnatrice anonima chiamata all’appello con il titolo ‘la mamma di…’ un etichetta che rimase per anni con l’eccezione del nome finale.
Ho perso momenti magici, unici, attimi di tenerezza e di una bellezza che non ritorneranno mai più, perché infondo, anche io, credevo che il mestiere più difficile del mondo fosse quello dei genitori, senza mai riflettere sul fatto che – fare i genitori non è affatto un mestiere! Non studiamo per avere una qualifica professione ‘genitoriale’, non riceviamo un salario (anche se si fanno parecchi straordinari) non andiamo in pensione, e se non ci piace l’impiego, non ci si può licenziare.
Diversamente dagli amici e compagni, non si sceglie il proprio figlio, perfino il coniuge è ricambiabile, ma forse sono i figli a sceglierci. Essendo meravigliosamente, perennemente onnipresente, quando quel piccolo diavoletto/angioletto ci mostra, come uno specchio, il peggiore lato di noi stessi: la parte ferita, impaurita, frustrata, impaziente e irascibile, non possiamo fare altro che specchiarci ogni giorno, perché finché non siamo disposti a metterci in discussione, il loro compito è di farci da Maestro, cosi possiamo crescere attraverso l’impegno più difficile del mondo, non perché ci manca il libretto d’istruzioni, o perché sbagliamo sempre, ma perché non si può evitare o scappare dall’unica persona in grado di insegnarci come guarire le ferite più profonde del nostro bambino/a interiore – perché in questo caso, l’impegno non è verso il figlio ma verso noi stessi.
Il personaggio “ brillante”.
Anche noi eravamo bambini una volta. Durante la nostra infanzia, l’ambiente famigliare e sociale hanno dettato un’educazione basata su due modelli: i “devi” e “non devi”. Abbiamo capito molto presto che l’amore dei nostri genitori era condizionato. Tutti i bambini desiderano essere amati e accettati ma abbiamo compreso che quell’amore era offerto e tolto in conformità a come ci si comportava. Cosi crescendo, il personaggio brillante, ha cercato di mostrare i suoi atteggiamenti retti e “bravi” con orgoglio, con la testa alta e il petto in fuori, una stazza tipica di chi cerca di essere all’altezza delle aspettative genitoriali.
Per quanto riguarda il fallimento di questo modello, nonostante i vari tentativi di negare gli sbagli, nascondendo, giustificando e proiettando lontana la nostra metà indesiderabile, l’incapacità di riconoscere e accogliere gli errori commessi come strumenti di crescita, l’energia si è trasformata nell’ombra; la parte falsa che nasconde dietro la maschera del virtuoso, del giusto, perfino il bravo genitore, che poi, si mostra riflesso nello specchio che il figlio riflette scomodamente, scatenando in noi reazioni sproporzionate nei confronti di quello che la loro condotta merita – ed è proprio quella parte di noi che il bambino/a impara fin da piccolo/a a stimolare.
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La scrittrice Americana Edith Wharton scrisse: “ Ci sono due modi di diffondere luce – essere la candela oppure essere lo specchio che lo riflette”. Con una maestria quasi sovrumana, i figli sono in grado di spingere i numerosi ‘bottoni’ che innescano ogni nostra emozione repressa, negata e nascosta nelle segrete del nostro essere. Quando le emozioni negative emergono, la nostra luce è assente, in quel momento regna l’ombra, ossia, le nostre imperfezioni, paure e vulnerabilità, tuttavia le reazioni sono una fonte potente di luce per la crescita personale, se accolte consapevolmente, e come tutti i genitori sanno – l’assalto è giornaliero, le prove arrivano a raffica, senza sosta, come un mitra automatico, dimostrando, tramite lo specchio (comportamento del bambino), ogni nostro limite in tutta la sua gloria.
Specchiarsi per vedere il bambino/a del nostro passato.
A causa di un comportamento troppo vivace del figlio, una rabbia esplosiva da parte nostra potrebbe riflettere un’infanzia troppo restrittiva, nel quale non abbiamo avuto il coraggio di disobbedire, per paure delle conseguenze. Vedere il proprio figlio immune alle minacce di punizione, privo di paura e intento nell’essere semplicemente se stesso, può innescare una reazione emotiva sproporzionata e fuori misura. In questo caso è lo specchio che ci mostra una scomoda verità – l’incapacità di essere spontanei per paura delle conseguenze, è questo è doloroso.
Il bambino che vuole dormire nel letto matrimoniale con i genitori, e che non lascia lo spazio per respirare, può riflettere la paura dell’abbandono che noi stessi abbiamo sofferto, e una reazione negativa a causa di una pagella scolastica poco ‘brillante’, può toccare un profondo senso d’inferiorità, magari perché non abbiamo terminato la scuola. La pagella mediocre del figlio tocca un tasto dolente, scatenando rabbia per la mancata opportunità di mostrare agli amici e parenti, l’intelligenza del figlio, per compensare un nostro senso d’inadeguatezza.
Questi sono solo alcuni esempi, ma lo specchio (figlio) è in grado di mostrare ogni nostra vulnerabilità nata nel passato, e sembrerebbe che loro ci scelgono con una precisione quasi chirurgica. Visto così, il rapporto genitore/figlio non è una semplice relazione scontata, bensì un continuo scambiare dei ruoli, nei quali il maestro ritorna studente, e l’allievo diventa il maestro.
E’ importante ricordare che nessun genitore è perfetto.
Molti genitori vivono uno stato di ansia, con la paura di non essere in grado di svolgere, in modo adeguato, il ruolo genitoriale, e cosi la tendenza è di competere con gli altri. Avere un figlio che primeggia, può dare l’impressione che stiamo facendo un ottimo lavoro, ma in verità, possiamo offrire al figlio, solo il livello di coscienza di cui disponiamo oggi, né di più né di meno. L’importanza è riconoscere che l’educazione incomincia dall’esempio. Magari non vi seguirà nell’azienda famigliare, ma tutti i figli camminano nelle orme emozionali tracciate dai genitori, perciò il titolo del mestiere più difficile del mondo non è un esclusiva ai genitori, perché è una collaborazione d’insegnamento e crescita multidimensionale per entrambi, se essere un genitore è arduo, essere un figlio non è meno impegnativo.
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Ora i miei tre figli sono grandi, e avvolte la mente mi trascina lungo la strada dei rimpianti: se solo avessi avuto nel passato, la consapevolezza che dispongo oggi, magari sarebbero più felici, più realizzati, più, più, più…ma è un gioco inutile. Alla fine, Il meglio che possiamo fare, è fare il nostro meglio, qualunque cosa sia, senza giudicare, misurare o confrontare, e avvolte, il nostro meglio sarà scarso ma sarà sempre la somma totale di quello che abbiamo da offrire, perché non si può dare quello di cui non si dispone.
Quando invece rimango nella presenza, nel cuore, mi sento d’inchinarmi davanti a queste tre anime meravigliose che hanno scelto me come madre. E’ grazie a loro che ho potuto accogliere, le parti più ferite e incomprese della mia infanzia, recuperando poi, il coraggio d’affrontare, quello che ho cercato di reprimere per tutta la mia vita antecedente al loro arrivo, rendendo la mia esperienza ‘genitoriale’ un raro tesoro. Questa esperienza di vita, di famiglia, mi ha reso una persona più completa, più umile, perché ho capito che l’amore non può essere vissuto in modo mentale, d’investimento. L’amore tra genitore e figlio è uno scambio alla pari, un modo per le anime ‘new entry’ di acquistare gli strumenti necessari per una nuova avventura nella materia sulla terra, e per noi anime ‘veterane’, il mezzo per camminare all’indietro, rintracciando le impronte lasciate nella sabbia di una vita vissuta, per ritornare a casa.
Caroline Mary Moore
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