IL GRANDE PASSAGGIO
di Gabriele Policardo
«Cosa vuole questo grande movimento da noi?». Me lo scrive una ragazza, insieme a molti altri, mentre cerca di resistere alla profonda trasformazione che ci sta mettendo tutti duramente alla prova. «Chiede tutto — rispondo io — e dà tutto.»
Tutti voi, chi più chi meno, vi sarete accorti che questi giorni sono particolarmente difficili, intensi e si percepisce profondamente l’ingresso di nuove dimensioni nella nostra vita «normale.» C’è stato e c’era un tempo per aprirsi a una nuova comprensione: questo tempo si è concluso.
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Non si tratta più di «credere» in qualcosa: ma di aver fatto esperienza di tutto quello che è oltre i nostri sensi ed è l’ultima frontiera della nostra salvezza. Non si salva chi crede in qualcosa, ma chi ha compreso le regole del gioco e riesce a rimanere in piedi, sulla nave, in mezzo alla tempesta, equidistante da tutto e collegato a tutto. Chi si adatta meglio al cambiamento. E questo, indubbiamente, è il Grande cambiamento.
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Tanti sognano e si accorgono che non si tratta dei soliti sogni: durante la notte, la coscienza si espande e ci sono dei veri e propri viaggi danteschi, oppure si verificano sincronicità, incontri con altre anime, sogni terapeutici in cui vengono rielaborati i sospesi del sistema familiare e gli esclusi si manifestano, o ancora, appaiono visioni e scene così vivide, con emozioni così forti e ineluttabili, da riconoscere subito e chiaramente in essi non delle fantasie, ma delle vere e proprie memorie prenatali.
Molti restano indietro, altri si aggrappano con arroganza al proprio «non ci credo», tanti si attendono ancora qualcosa da qualcuno, che una cima venga tirata loro. Ciascuno si salva da solo. Questa è la legge ferrea universale.
A chi mi scrive al limite della sopportazione — e in questi giorni di vacanze, la quantità di messaggi non ha subìto alcuna flessione — rispondo che noi siamo comunque fortunati: perché siamo ancora qui, in carne e ossa, con una possibilità ancora viva. Mentre altri, purtroppo, hanno dovuto fermarsi prima.
I più si nascondono dietro la confortevole finzione delle vacanze tanto agognate, dopo fatiche supreme, in paesaggi spensierati, in una felicità fasulla e disperatamente ostentata, in un forzato anelito a una vita che non può più essere vilipesa così come è accaduto finora.
Sopravvive ancora un’unica forma di esistenza che valga la pena di essere considerata quale vita ed è la relazione. In particolare, la relazione d’aiuto.
Gettare una bottiglietta dal finestrino, sporcare per terra, ignorare che sacrificio, che delitto, quale spreco mondiale abbia comportato ciò che si gusta nel piatto, fingere di non vedere la sofferenza altrui, negli umani, negli animali, nelle piante, nei paesaggi, nella natura, nel rapporto con la bellezza, offendere, litigare, escludere, disprezzare, giudicare, comportarsi male, essere maleducati: sono tutte forme di un’umanità che non può più esistere, che si è quasi distrutta da sola.
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Procurare dispiacere, anziché piacere: questa è la civiltà che si è condannata a morte. Non per un cataclisma, non per una guerra, non per un virus letale: si è suicidata con la propria tristezza. Si è ammalata di un falso benessere, ha dovuto soccombere alla superficialità, all’egoismo, al cattivo gusto, all’isolamento, al profitto.
Qui non c’è distinzione di classe: riguarda il ricco come il povero. Benché tendenzialmente il povero abbia una capacità d’adattamento maggiore.
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Al contrario, sempre più un piccolo gesto d’amore può generare un’autentica tempesta e divenire un movimento collettivo. Come la notizia di ieri, la barista che offre la colazione ai due pompieri, esausti dopo aver spento un incendio e i due scoprono che lei sta raccogliendo dei soldi per comprare una carrozzina al padre tetraplegico, e in poche ore le giungono settantamila dollari di donazioni. Noi siamo le nostre relazioni. Siamo felici, pieni, sani e allegri se ne abbiamo; diveniamo infelici, svuotati, malati e tristi se ci chiudiamo a esse.
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Ebbene, fate strani sogni? Siete allo stremo delle forze? Vi chiedete se riguarda solo voi? No, ci riguarda tutti. Dal primo all’ultimo. Nessuno può essere passato indenne attraverso questo. Tutti noi abbiamo dovuto sacrificare ciò che avevamo di più prezioso. La felicità e la libertà rendono soli. La paura, la schiavitù, la fedeltà ai sistemi familiari sono la via più comoda. Ma sono una via mortale. La vita si ritira da coloro che la sperperano. Non potremo essere sicuri di avercela fatta, finché non saremo definitivamente giunti all’altra parte della riva.
Purtroppo, è proprio in quello che abbiamo di più sacro, che sta la più grande rinuncia, il più doloroso sacrificio. Forse, è proprio per imparare a riconoscere ciò che è sacro. E, una volta riconosciuto, a riportarlo al centro dell’attenzione. Perciò questo movimento di guarigione e liberazione esige tutto da noi: solo così potrà consegnarci tutto. E lasciarci scoprire che le relazioni che avremo stabilito ci avranno già consegnato a una nuova era interiore.
Fonte :https://www.facebook.com/pages/Gabriele-Policardo/552804244771377?sk=timeline